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La Cassazione conferma le condanne per i fratelli Rebeshi. Pubblicate le motivazioni della sentenza

VITERBO – Ismail e David Rebeshi una “costante e continuativa comunicazione”. Il primo, boss di Mafia viterbese, era al 41-bis, ha utilizzato il fratello “come mandante per far fronte alle spese per la carcerazione”. E David “ha speso” il suo nome per estorsioni e intimidazioni. I giudici della Cassazione lo scrivono nelle motivazioni della sentenza con cui hanno respinto i ricorsi dei fratelli albanesi Ismail e David Rebeshi, 41 e 35 anni, facendo diventare definitiva la condanna inflitta dalla Corte d’Appello per estorsione aggravata dal metodo mafioso ai danni di un ristoratore di Tuscania e di un commerciante d’auto di Monterosi.

Nelle motivazioni, depositate il 24 settembre e rese pubbliche nel fine settimana, la Suprema Corte fa riferimento alla sentenza della corte d’appello del 7 giugno 2021, quella del filone principale di Mafia viterbese, che ha sancito la “operatività a Viterbo, dal 2017 all’inizio del 2019 (data degli arresti), di un sodalizio criminale di stampo mafioso con al vertice Giuseppe Trovato e Ismail Rebeshi, a capo di un gruppo protagonista di 45 estorsioni, danneggiamenti e incendi di veicoli e di esercizi commerciali”.

A tal proposito i supremi giudici sottolineano “la notorietà e il “clamore” degli arresti per mafia, che avevano attinto anche Ismail Rebeshi”. Il fratello David “ne ha “speso” il nome facendo riferimento alla destinazione del denaro richiesto alle persone offese per far fronte alle spese per la sua carcerazione”. Insomma, David avrebbe sfruttato il nome del fratello detenuto per intimorire le vittime e ottenere somme di denaro.

“È dunque in questo quadro – scrive la Cassazione – che la corte d’appello ha potuto fornire una lettura non illogica del messaggio inviato da David al ristoratore il 29 novembre 2019, evocando esplicitamente la figura del fratello detenuto alle cui necessità era funzionale il “recupero” del “credito” vantato nei confronti del commerciante d’auto ma, invero, oggetto di richiesta minatoria nei confronti del ristoratore al quale non poteva essere sfuggito il collegamento tra questa vicenda e l’episodio del 20 dicembre 2018 quando la sua auto è stata data alle fiamme per non aver rivelato dove abitasse l’uomo che si era reso responsabile del danneggiamento della vettura di Trovato”.

A rafforzare le accuse, secondo i giudici, c’è anche la lettera del 7 marzo 2020 inviata da Ismail a David, in cui “veniva menzionato l’incarico che il primo aveva conferito al fratello: “prendere i soldi” al ristoratore. Missiva da leggere all’interno della costante e continuativa comunicazione tra i due, assicurata anche tramite la fidanzata di Ismail Rebeshi”. Per la Cassazione, i giudici di secondo grado “hanno operato una compiuta ricostruzione della concreta vicenda processuale che ha portato a ritenere il diretto coinvolgimento di Ismail come mandante del fratello”.