Anche nel carcere di Viterbo, vietati i tatuaggi ‘a vista’ dei famigliari durante le visite ai detenuti in regime del 41 bis. Obbligo di coprirli
VITERBO – Niente tatuaggi in vista per i famigliari di detenuti in regime di 41 bis che durante le visite saranno obbligati a coprirli durante i colloqui con i congiunti, perché potrebbero utilizzarli per veicolare messaggi all’interno o all’esterno del carcere. Lo stabilisce una sentenza della Corte di Cassazione che ha bocciato il ricorso di un boss mafioso 54enne di Siracusa, detenuto al 41 bis nel carcere di Sassari, contro l’obbligo da parte dei familiari di coprirsi eventuali tatuaggi durante i colloqui periodici onde controllare l’elevata pericolosità sociale dei reclusi in regime di carcere duro e impedire la diffusione di messaggi criptici.
La “regola” della copertura dei tatuaggi, sarà imposta anche ai familiari dei reclusi al 41 bis presso il carcere “Nicandro Izzo” di Viterbo, che ora ha avuto l’ulteriore sigillo della Suprema Corte. Motivo, “evitare che gli esponenti dell’organizzazione in stato di detenzione, sfruttando il normale regime penitenziario, possano continuare ad impartire direttive agli affiliati in stato di libertà, e così mantenere, anche dal carcere, il controllo sulle attività delittuose dell’organizzazione stessa”.
Con l’occasione, la cassazione ricorda come i colloqui periodici rappresentino il veicolo più diretto e immediato di comunicazione del detenuto con l’esterno, attuabile, per tale categoria soggettiva, attraverso i propri familiari.