Buste paga ‘con il trucco’ a due pastori macedoni, dovevano fingere di riscuotere uno stipendio più alto di quello reale

VITERBO – Buste paga col trucco a due pastori macedoni, allevatore accusato di sfruttamento del lavoro. Presunte vittime due fratelli dediti alla pastorizia, che avrebbero dovuto fingere di guadagnare 1400 euro al mese, mentre ne avrebbero guadagnati 1100 e avrebbero dovuto restituire al datore di lavoro la differenza non appena accreditato sul loro conto lo stipendio.

È l’accusa mossa a carico di un imprenditore agricolo dell’Alta Tuscia, specializzato nell’allevamento di bestiame, in particolare vacche da latte, per accudire le quali avrebbe usufruito dell’opera di una coppia di fratelli macedoni quarantenni, venuti in Italia grazie al padre il quale, migrato per primo nel nostro paese, ha voluto riunire nelle campagne al confine tra Lazio e Toscana la famiglia. Entrambi i fratelli sono stati interrogati ieri davanti al giudice Daniela Rispoli.

Il titolare era finito nei guai il 28 ottobre 2019 in seguito a delle sommarie informazioni rilasciate da un operaio, raccolte dai carabinieri del nucleo dell’ispettorato del lavoro di Viterbo nell’ambito di un altro procedimento, in base alle quali fu deciso un accesso nell’azienda, effettuato il 16 gennaio 2020, con personale dei carabinieri di Acquapendente, del Nas di Viterbo e dell’Inps di Roma.

In quell’occasione, cercando un riscontro tra le dichiarazioni dei lavoratori e le buste paga, durante l’ispezione gli investigatori si sono accorti che c’erano delle discrepanze tra i bonifici bancari di 1400-1500 euro e quanto sostenevano di guadagnare i lavoratori ovvero 1100 euro. Fatto sta che uno dei braccianti ha esibito la ricevuta di un prelievo postale da 350 euro e le banconote corrispondenti, somma che doveva restituire quel pomeriggio.

Dagli accertamenti furono trovati quattro lavoratori che stavano facendo pausa colazione. Due erano il figlio e il nipote dell’attuale imputato, mentre gli altri due erano una coppia di fratelli macedoni, avrebbe detto uno dei militari in forza all’ispettorato intervenuti sul posto, spiegando di avere chiesto ulteriore documentazione e di essere tornati sul posto il successivo 29 gennaio.

La difesa, nel corso dell’udienza, ha più volte sostenuto che quella somma si sarebbe riferita al presunto pagamento di un affitto per l’abitazione di proprietà dell’imputato in cui alloggiavano i due fratelli macedoni, al costo della spesa fatta al posto loro, alle bollette, alle visite mediche nonché a prestiti da parte del datore di lavoro da restituire a fine mese.