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Viterbo, ristoratore nella morsa degli usurai, ripercorre,, in udienza il lungo calvario fatto di minacce, botte ed estorsioni subite con la famiglia

VITERBO – Usura ed estorsioni, un incubo cominciato durante il lockdown per una coppia di imprenditori viterbesi. Lui, costituitosi parte civile nel processo alla banda di strozzini di cui sarebbe stato vittima. Nell’udienza di ieri ha testimoniato davanti al collegio dei giudici presieduto dal presidente del tribunale Francesco Oddi, ha ricostruito l’intera vicenda.

Un calvario quello vissuto, dalle richieste di denaro, sempre più pressanti e fino a 234mila euro, minacce brutali e botte. “Mi dissero che mi avrebbero sparato – racconta il ristoratore -. Che mi avrebbero fatto fare una brutta fine, che avrebbero fatto stuprare mia figlia e che l’avrebbero fatta finire su una sedia a rotelle”. Non solo minacce verbali, ma anche aggressioni fisiche. “Il 7 ottobre 2020 – continua l’uomo – un albanese, che ho riconosciuto essere lo stesso che aveva già provato a sequestrarmi l’auto, mi ha colpito in faccia in un angolo cieco all’esterno del mio locale di pesce”.

Tutto sarebbe nato da vecchi debiti di gioco. “Fino al 2013 – spiega l’uomo – sono stato ludopatico e ho chiesto una serie di prestiti fino a vantare un credito di 25/30mila euro. Per restituire quei soldi, nel 2017, ho iniziato a vendere ingenti partite di pesce congelato sottocosto. Avevo liquidità ma alla fine è stato un disastro, che ancora non ho sistemato del tutto. Così facendo ho indebitato anche l’azienda”. “Un’operazione suicida”, l’ha definita il pm Michele Adragna.

“Per ottenere liquidità – prosegue l’imprenditore – nel 2018 ho proposto a una coppia di clienti del ristorante di prestarmi 10mila euro promettendo di restituirne 15mila in un mese. Ma la situazione si è complicata ancora di più. Tra agosto e settembre 2020 ho chiesto 45mila euro, da restituire 60mila euro in dieci giorni. Poi ancora 89mila euro, da restituire entro la fine del mese con una maggiorazione fino al 50%. Svuotavo le casse delle attività tutti i giorni, ma non bastava. I creditori hanno iniziato a innervosirsi e a chiedere 234mila euro. La situazione è precipitata ed è iniziato l’inferno: prestiti su prestiti, ricatti, violenze”.

Il ristoratore, alla fine, chiede aiuto ai carabinieri, che arrestano cinque persone. Quattro, tra cui una coppia di tatuatori di Viterbo, sono attualmente a processo per usura ed estorsione, mentre uno ha già patteggiato una pena di un anno e otto mesi. L’imprenditore e la moglie, invece, sono parte civile.